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Nella folla della Vecchia Delhi

Nella folla della Vecchia Delhi

Non si vede il cielo a Vecchia Delhi, si trova da qualche parte al di sopra dei tendoni dei negozi che si appoggiano l’uno all’altro nelle strade strettissime. Si scorge appena tra i grovigli di cavi elettrici che penzolano sulla testa dei passanti. Intessuti da un edificio all’altro, ai lati opposti della strada, come una maglia a trame larghe, che fa da parco giochi per le scimmie.

Le scimmie saltano da un edificio all’altro ai piani alti, dove la via è poco più larga di un carretto per la frutta, oppure si incontrano a metà strada sul garbuglio di cavi, e fanno conversazione tra loro, magari sgranocchiando un frutto rubato da qualche bancarella sulla strada, gettando incuranti le bucce sui passanti qualche metro più giù.

I passanti si incastrano tra loro nei cunicoli sotto al ginepraio di cavi elettrici. Vicoli strettissimi che serpeggiano tra i negozi di stoffe e gioielli. A volte si ha  lo spazio per camminare in una sola direzione, scavalcando le pile di saree o i mucchi di fiori che sconfinano sulla strada. Quando sembra quasi di rimanere incastrati tra gli enormi sacchi e scatoloni che riforniscono i negozi, si sbuca in una via più ampia. La gente si disperde un pò, ma lo spazio libero è subito riempito da bici, tuk tuk, carretti trainati a mano ricolmi di sacchi di juta, garzoni che trasportano sopra la testa oggetti inverosimilmente ingombranti. Le strade sono un denso formicaio arricchito da polvere, un vocio incessante, e assordante rumore di clacson.

I clacson sono la colonna sonora della Vecchia Delhi. Assordanti e penetranti, una sinfonia ininterrotta che inizia ad attenuarsi solo quando ci si addentra nel dedalo di vie (quasi) pedonali dei negozi. Incuranti della folla di pedoni, scooter e mezzi pesanti, tuk tuk e biciclette, procedono sfiorando i gomiti e urtando i passanti. Dopo qualche tempo si inizia a desiderare un momento di silenzio, un concetto inesistente tra queste arterie dense di vita.

Le strade sono un ripetersi di negozi tutti uguali, e viene da chiedersi come si faccia a scegliere dove comprare. La strada delle stoffe, quella degli abiti confezionati, la strada delle forniture da cucina, la strada dei gioiellieri, quella dei negozi di bigiotteria, il crocevia delle spezie, le via dei venditori di frutta e verdura e quella della frutta secca. 

Pile di anacardi e ceci in foggia di piramide. Noci, datteri, chiodi di garofano, collane di fichi secchi che penzolano dal soffitto, stecche di cannella che emanano aromi orientali.

Barattoli di thè in file interminabili. Catini in acciaio disposti su grandi tappeti colorati stesi sui marciapiedi colmi di carote rosse o okra. Collane di fiori infilzati con ago e filo da donare alle divinità nei tempietti all’incrocio della strada. Vassoi traboccanti di laddu sferici attentamente impilati, accanto a pentoloni gorgheggianti di olio nel quale friggono i dolci jalebi. Grosse forme di paneer o di ghee che emanano odore acre.

Odori, profumi, rumori. Una nuvola di fumo e smog avvolge l’aria tra le precarie costruzioni abbandonate, le case pericolanti dense di condizionatori e le insegne sbiadite dei negozi.

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